L’amiloidosi era storicamente considerata una patologia rara e poco conosciuta. Grazie però alla florida letteratura scientifica e alla notevole semplificazione dell’approccio diagnostico la prevalenza della patologia sta rapidamente cambiando. Numerosi aspetti della malattia sono stati esplorati in termini di manifestazioni cliniche, caratteristiche strumentali e di stratificazione prognostica.
Le amiloidosi sono un gruppo eterogeneo di patologie acquisite o ereditarie, localizzate o sistemiche, che condividono una caratteristica: la deposizione extracellulare di proteine fibrillari insolubili che determina una disorganizzazione della struttura dei tessuti coinvolti con conseguente disfunzione d’organo [1,2].
Nonostante le proteine implicate nel processo amiloidogenico siano diverse a seconda del tipo di amiloidosi, esse condividono proprietà tintoriali e strutturali comuni [1-4]:
• un aspetto di sostanza amorfa al microscopio a luce normale (Figura 1, sinistra);
• la birifrangenza “apple green” con la colorazione Rosso Congo al microscopio a luce polarizzata (Figura 1, destra);
• un’ultrastruttura composta da fibrille di diametro variabile tra 7 e 10 nm, costituite da amiloide e da altri fattori additivi, quali i proteoglicani;
• una conformazione “β pleated-sheet” alla spettroscopia a raggi infrarossi, determinante principale del potenziale amiloidogenico della proteina.
Figura 1. Rilievi istologici tipici di miocardio infiltrato da sostanza amiloide: nel riquadro a sinistra i depositi di amiloide (in rosa chiaro dopo colorazione con Ematossilina-Eosina) hanno la caratteristica di una sostanza omogenea ed eosinofila che infiltra diffusamente il tessuto miocardico, isolando anatomicamente e funzionalmente singole cellule o gruppi di cellule. La tipica birifrangenza verde mela (nel riquadro a destra) si osserva al microscopio a luce polarizzata dopo colorazione con rosso Congo.
In generale il cuore è uno degli organi “bersaglio” in cui più frequentemente si deposita l’amiloide: in alcune forme è la principale causa di morbilità e mortalità dei pazienti, in altre può invece rappresentare un reperto accidentale e privo di significato funzionale [1,2].
L’amiloidosi cardiaca non rappresenta una singola entità, ma è caratterizzata da un background patogenetico eterogeneo riconducibile, nel mondo occidentale, principalmente a tre forme eziologiche distinte [5,6,7]:
1) l’amiloidosi AL (un tempo nota come amiloidosi primaria) secondaria alla presenza di cloni plasmacellulari nel midollo osseo che producono catene leggere libere circolanti delle immunoglobuline responsabili dei depositi fibrillari;
2) l’amiloidosi ereditaria correlata alla transtiretina (ATTR), malattia autosomica dominante con espressività variabile e penetranza incompleta, che può essere causata da oltre 100 mutazioni del gene della transtiretina;
3) l’amiloidosi sistemica senile (Senile Systemic Amyloidosis, SSA) da depositi di transtiretina non mutata (wild-type).
Inoltre, come conseguenza di infezioni croniche, nei Paesi in via di sviluppo non è infrequente l’amiloidosi secondaria (AA) [5].
Infine, ci sono rare forme ereditarie non transtiretino-correlate quali quelle secondarie a mutazioni per il fibrinogeno, l’apolipoproteina (Apo-AI ed Apo-AII) e la gelsolina [5]. Le mutazioni per il fibrinogeno e l’apolipoproteina determinano principalmente nefropatie progressive e solo raramente causano cardiomiopatie. La mutazione della gelsolina invece, endemica in Finlandia ma estremamente rara nel resto del mondo, provoca principalmente neuropatie, nefropatie e a livello cardiaco si manifesta pressoché esclusivamente con disturbi della conduzione [5].
La cardiomiopatia amiloidotica è considerata lo stereotipo delle cardiomiopatie infiltrative ed è caratterizzata da un incremento degli spessori parietali con fisiologia restrittiva ed aumentata rigidità strutturale che causa un rapido incremento delle pressioni intraventricolari in associazione ad un solo lieve incremento dei volumi di riempimento [8,9].
Oltre al coinvolgimento parietale, l’amiloide infiltra gli atri (favorendo la comparsa di aritmie sopraventricolari e la formazione di trombi), i vasi intramiocardici (determinando ischemia miocardica), ed il sistema di conduzione (determinando blocchi atrioventricolari ed intraventricolari, talora con necessità di impianto di pace-maker) [1].
A causa della natura proteiforme della malattia, l’elemento centrale per la diagnosi di cardiomiopatia amiloidotica è rappresentato dal sospetto. Gli strumenti principali per un sospetto di amiloidosi cardiaca sono l’elettrocardiogramma (ECG) e l’ecocardiogramma e in particolare la lettura integrata delle due metodiche.
Un ulteriore esame diagnostico a disposizione è rappresentato dalla scintigrafia total body con tracciante osseo. Nel corso degli ultimi decenni sono stati studiati diversi traccianti scintigrafici (principalmente fosfonati) per la valutazione dei depositi di amiloide a livello cardiaco, con risultati molto eterogenei e talora contraddittori. Nei pazienti affetti da cardiomiopatia amiloidotica transtiretino-correlata (sia mutata sia wild-type) la scintigrafia total body mostra una captazione del tracciante osseo a livello cardiaco secondo un grado (“Perugini score” o “Bologna score”) da 2 a 3. Tale indagine permette di porre diagnosi differenziale (con alcune accezioni) con l’amiloidosi AL in cui non si osserva captazione del medesimo tracciante. [16].
Sebbene le metodiche diagnostiche a disposizione abbiano condotto alla possibilità di giungere alla diagnosi non invasiva della malattia, l’analisi istologica resta comunque il gold standard diagnostico, con la dimostrazione in almeno un organo coinvolto della caratteristica birifrangenza “apple green” al microscopio a luce polarizzata, dopo fissazione del prelievo con il colorante rosso Congo [17].
L’eziologia finale di amiloidosi cardiaca è determinata dall’indagine immunoistochimica (con anticorpi specifici) sul reperto bioptico [15] sebbene moderne tecniche di proteomica siano usate sempre più di frequente poiché più specifiche e sensibili [18].
L’analisi genetica permetterà di identificare mutazioni a carico del gene della transtiretina nelle forme familiari.
Amiloidosi correlata alla transtiretina
La transtiretina è una proteina in grado di formare le fibrille di amiloide in vivo ed è associata a due forme distinte di cardiomiopatia amiloidotica: 1) la forma transtiretino-relata ereditaria (ATTR) causata da mutazioni puntiformi del gene per la transtiretina; 2) l’amiloidosi sistemica senile (SSA) forma non ereditaria associata a depositi di transtiretina non mutata (wild-type) [19].
L’amiloidosi transtiretino-relata ereditaria (ATTR) è la forma più frequente di amiloidosi sistemica familiare.
La transtiretina umana (TTR) è una proteina sierica deputata al trasporto del RBP (proteina che lega il retinolo o vitamina A); viene prodotta principalmente dal fegato ed in piccola parte dal plesso coroideo e dalla retina. La TTR (Figura 4) circola come omotetramero composto da 4 subunità identiche legate in modo non-covalente. Ogni monomero è costituito da 127 aminoacidi ordinati in 8 domini antiparalleli a beta-foglietto [20].
Figura 4. A sinistra il diagramma del monomero di TTR che mostra alcuni siti di mutazioni patologiche. N: sito amino terminale dei 127 aa; C: sito carbossiterminale. Le punte di freccia indicano la direzione dall’N al C degli 8 beta-foglietti antiparalleli su due piani DAGH e CBEF. A destra il diagramma del tetramero in cui ogni monomero è rappresentato da un colore diverso. Le frecce più grandi indicano il sito di legame per il retinolo/vitamina A.
Il gene che codifica per la TTR è collocato sul cromosoma 18 ed è costituito da 4 esoni e 5 introni. Sono state identificate circa 100 mutazioni geniche da cui derivano altrettante varianti proteiche. La modalità di trasmissione è autosomica dominante e la maggior parte degli individui affetti è eterozigote per la mutazione patogena [20]. La penetranza di questa patologia è estremamente variabile e la stessa mutazione può fenotipicamente presentarsi in maniera differente tra i vari componenti della stessa famiglia o addirittura non manifestarsi (portatori sani) [1].
Per molto tempo si è ritenuto che la malattia fosse conseguenza della sola mutazione Val30Met (sostituzione di una Valina con una Metionina in posizione 30 della catena polipeptidica), in quanto le prime segnalazioni ed i casi studiati derivavano da focolai giapponesi [21], svedesi [22] e portoghesi [23], aree in cui tale mutazione risulta endemica.
La prevalente estrinsecazione neurologica della malattia nelle forme endemiche correlate alla mutazione Val30Met ha fatto si che l’ATTR fosse per lungo tempo considerata una malattia di pertinenza neurologica, tanto da essere comunemente chiamata Polineuropatia Amiloidotica Familiare (FAP). La successiva segnalazione di nuove mutazioni della TTR [24-28] (spesso confinate a piccole e limitate aree geografiche) ha rilevato l’esistenza di una eterogeneità genotipica a cui corrisponde un ampio spettro di manifestazioni cliniche, nell’ambito della quale si inserisce anche il coinvolgimento cardiaco. Questa eterogeneità è correlata a diversi fattori quali le specifiche mutazioni, l’età di esordio della malattia [29,30], il sesso dei pazienti (parziale protezione del sesso femminile, almeno fino alla menopausa) [31,32], del genitore responsabile della trasmissione del gene mutato (malattia più precoce e grave se trasmessa dalla madre), la composizione delle fibrille (transtiretina intera o frammentata [33]), la distribuzione geografica e la tipologia di aggregazione: endemica o non endemica [19,21,22,29,32,34].
Nella forma endemica “classica” Portoghese e Giapponese la patologia è caratterizzata da una polineuropatia sensitivo-motoria ad alta penetranza (almeno 80%), che colpisce egualmente maschi e femmine, che si manifesta intorno ai 30-35 anni (mostrando il fenomeno dell’anticipazione generazionale) con una disfunzione delle fibre periferiche degli arti inferiori che poi si estende alle estremità prossimali e che raggiunge lo stadio terminale in 10-15 anni [27,35].
La forma endemica Svedese invece è più lenta, tardiva e con bassa penetranza (circa il 5%) [35] e nonostante preveda analoga mutazione non sembra avere un fondatore comune alle altre due [34,36]. Inoltre, è emersa l’esistenza di due distinte forme svedesi Val30Met correlate (Tipo A e tipo B), a seconda della composizione fibrillare di TTR, troncata o intera [37].
Le manifestazioni cliniche della forma endemica classica sono tipicamente disturbi della sensibilità termica e dolorifica, parestesie e disestesie agli arti inferiori. La funzione motoria viene interessata nelle fasi avanzate e si estrinseca con importante disabilità [19,38]. Precocemente si manifesta anche una disautonomia progressiva dovuta sia a denervazione simpatica che parasimpatica, caratterizzata da turbe della motilità gastrointestinale (costipazione alternata a diarrea che determina perdita di peso e malnutrizione), ritenzione o incontinenza urinaria, disfunzione erettile ed ipotensione ortostatica [20,21]. L’interessamento cardiaco prevede quasi esclusivamente disturbi della conduzione talora tali da richiedere l’impianto di pace-maker. Le cardiomiopatie sono invece rarissime e, nel caso, tardive [21]. Presenti infiltrati renali, anche consistenti (identificazione post-mortem) ma con funzione d’organo del tutto conservata fino alla fine [21].
Il coinvolgimento miocardico nella ATTR può risultare solo un componente di un complesso quadro principalmente neurologico o rappresentare l’unica espressione di malattia. E’ questo il caso della mutazione Val122Ile, probabilmente la mutazione più frequente dal momento che ha una prevalenza di circa il 4% nella popolazione Afro-Americana, caratterizzata da severa cardiomiopatia restrittiva ad insorgenza tardiva (VI-VII decade) senza o con minimo interessamento neurologico [39-42]; altre mutazioni presentano un importante, talora dominante o esclusivo, interessamento cardiaco: la mutazione Thr60Ala Irlandese (contea di Donegal) e degli Appalachi con cardiomiopatia restrittiva ad insorgenza tardiva ed interessamento neurologico [43,44]; la mutazione Leu111Met Danese [22,45] caratterizzata da cardiomiopatia ad insorgenza precoce (30-40 anni) e neuropatia non sempre manifesta.
Proprio in relazione alla vasta eterogeneità, anche fenotipica, il clinico può quindi trovarsi di fronte a casi con un esclusivo interessamento neurologico nell’ambito di una chiara familiarità o a casi in cui è presente un quadro clinico dominato da un importante coinvolgimento miocardico ed interessamento neurologico assente o molto sfumato. Questo ampio spettro di presentazioni cliniche rende il riconoscimento di ATTR particolarmente difficile, soprattutto in ambito cardiologico.
La sindrome del tunnel carpale si associa frequentemente all’amiloidosi TTR-relata e, per motivo non ancora ben noto, precedendo la clinica cardiologica di circa 10 anni. [22]. Si tratta di una patologia comune nella popolazione generale [46], caratterizzata dall’intrappolamento dei tendini del polso con conseguente disfunzione del nervo mediano.
La transtiretina non mutata (wild type) è la proteina precursore dell’amiloidosi sistemica senile (SSA). La SSA è una patologia che interessa molto spesso uomini di età superiore a 65 anni e determina un coinvolgimento sistemico (polmoni, tratto gastroenterico, fegato, milza, ghiandole endocrine) anche se, dal punto di vista clinico, le uniche due manifestazioni sono la cardiomiopatia ed il tunnel carpale che in genere si presenta 3-5 anni prima dei sintomi cardiologici [1,5]. Nei pazienti anziani la transtiretina pur strutturalmente normale può diventare instabile e costituire degli aggregati mal ripiegati che si aggregano e precipitano sottoforma di amiloide [47,48].
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